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      Tutto ciò sarebbe stato giusto e sublime se non fosse stato troppo ridicolo. Era nell'ordine della giustizia, ma nello stesso tempo assai doloroso che, per quanto Roma si affannasse seriamente a fondare la libertà degli Elleni e a meritarne la riconoscenza, null'altro desse loro che l'anarchia, e null'altro raccogliesse che ingratitudine.
      Non vi è dubbio che questa antipatia verso la potenza protettrice fosse nei Greci provocata da nobili sentimenti, come non vi è dubbio del valore personale di alcuni capiparte. Ma non ostante ciò, questo patriottismo acheo non è che una stoltezza ed una vera caricatura storica.
      Malgrado tutto questo orgoglio e questa suscettibilità, l'intera nazione è intimamente persuasa della propria impotenza.
      L'attenzione di tutti, siano liberali o servili, è costantemente diretta a Roma; si rendono grazie ai numi quando il temuto decreto non arriva; si mormora quando il senato fa intendere che converrebbe cedere spontaneamente per non doverlo fare per forza; si fa ciò che si deve fare, possibilmente, in modo offensivo pei Romani «per salvare la forma»; si riferisce, si dànno spiegazioni, si differisce, si agisce fraudolentemente, e quando tutto ciò non giova, si curva la fronte con un patriottico sospiro.
      Questa condotta avrebbe meritato, se non approvazione, indulgenza, qualora i capi agitatori fossero stati pronti alla lotta ed avessero preferito al servaggio la distruzione della nazione; ma nè Filopemene, nè Licorta pensavano ad un tale suicidio politico.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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