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      Nondimeno Filippo non era uomo da tollerare questa tortura colla pazienza punica.
      Appassionato qual era, si mostrò dopo la sua sconfitta assai più adirato contro l'infido alleato che non contro il suo leale avversario, ed abituato da lungo tempo a non seguire più una politica nazionale, ma una sua propria, nella guerra contro Antioco non aveva ravvisato che una eccellente occasione per vendicarsi dell'alleato che lo aveva così vilmente abbandonato e tradito.
      Egli aveva raggiunta questa mèta; ma i Romani, che ben comprendevano non esser l'amicizia per Roma, ma la inimicizia contro Antioco quella che muoveva il Macedone, non essendo soliti regolare la loro politica secondo tali disposizioni di simpatia e di antipatia, s'erano ben guardati dal fare qualche cosa di giovevole per Filippo. Si servirono, anzi, degli Attalidi per far rivivere il regno di Lisimaco, la cui distruzione era stata l'impresa più importante dei re macedoni, dopo Alessandro.
      Gli Attalidi erano stati, fin dalla loro elevazione, in fiera lotta con la Macedonia, erano politicamente e personalmente odiati da Filippo, ed avevano, più di tutte le potenze orientali, contribuito a smembrare la Macedonia e la Siria, e ad estendere il protettorato di Roma nell'oriente; nell'ultima guerra poi, in cui Filippo aveva spontaneamente e con lealtà abbracciata la parte dei Romani, si erano associati a Roma solo per la propria esistenza.
      Così i Romani avevano creato accanto alla Macedonia uno stato eguale in potenza, ponendolo sotto il loro protettorato.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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