Nel 582=172 venne Eumene in persona a Roma con un lungo elenco di rimostranze, ed espose al senato il vero stato delle cose; dopo di che il senato, contro ogni aspettativa, votò in seduta segreta la dichiarazione di guerra, e fece subito munire di guarnigioni i porti dell'Epiro.
Per formalità, fu spedita in Macedonia un'ambasceria, la cui missione era tale, che Perseo, sapendo di non poter tornare indietro, rispose di essere pronto a stipulare con Roma un trattato simile a quello del 557=197, che egli però considerava come abrogato; e invitò gli ambasciatori ad uscire dal suo regno entro tre giorni.
Così la guerra era dichiarata di fatto.
Era l'autunno del 582=172; Perseo, volendo, poteva occupare tutta la Grecia, porre dappertutto il partito macedone al governo, distruggere fors'anche la guarnigione romana di 5000 uomini che si trovava presso Apollonia sotto il comando di Gneo Sicinio, e rendere assai difficile lo sbarco ai Romani.
Ma il re, che incominciava già a tremare per il serio andamento che prendevano le cose, s'impegnò col consolare Quinto Marcio Filippo, suo ospite, in trattative sulle frivole cause della dichiarazione di guerra dei Romani, si lasciò indurre a differire l'attacco ed a fare un altro tentativo in Roma per conservare la pace; ma il senato, come era ben naturale, rispose coll'espulsione di tutti i Macedoni dall'Italia e coll'imbarco delle legioni. I senatori dell'antica scuola, veramente, biasimarono la «nuova scienza» del loro collega e la scaltrezza contraria alle tradizioni romane; ma lo scopo era raggiunto e l'inverno passò senza che Perseo si movesse.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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