E come allora lo salvò il caso, così lo salvò ora l'inettitudine di Perseo.
Come se egli non avesse potuto concepire il pensiero di difendersi dai Romani, diversamente che presidiando i valichi dei monti, Perseo si considerò - cosa veramente singolare! - come perduto, allorchè seppe i Romani al di qua dei medesimi; e, dopo aver ordinato di ardere le sue navi e di affondare i suoi tesori, se ne fuggì a Pidna.
Ma la stessa spontanea ritirata dell'esercito macedone non tolse il console dalla sua penosa situazione.
Egli procedette senza alcun ostacolo, ma dopo quattro giorni di marcia si vide costretto a retrocedere per mancanza di viveri; e siccome anche il re aveva preso miglior partito retrocedendo celermente per riprendere l'abbandonata posizione, l'esercito romano si sarebbe trovato in grande pericolo, se l'inespugnabile Tempe non avesse capitolato a tempo abbandonando al nemico le sue abbondanti provviste.
Così furono assicurate all'esercito romano le comunicazioni col mezzodì, ma anche Perseo si era fortificato nella sua primitiva favorevole posizione sulle rive del fiume Enipeo(14) arrestandovi ogni ulteriore progresso dei Romani.
L'esercito romano passò così il resto dell'estate e dell'inverno chiuso nell'angolo estremo della Tessalia; e se la marcia attraverso i gioghi era stata certamente un successo, e il primo di qualche importanza in questa guerra, non lo si doveva però all'abilità del generale romano, ma alla pochezza del nemico.
La flotta romana tentò la presa di Demetriade, ma senza alcun risultato.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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