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      Le navi leggere di Perseo scorrevano audacemente fra le Cicladi, proteggevano i trasporti di grano per la Macedonia e catturavano quelli dei nemici.
      E ancora peggiori erano le condizioni dell'esercito occidentale. Appio Claudio non poteva intraprendere nulla colla sua divisione così indebolita, tanto più che gli aiuti da lui chiesti dall'Acaia non vennero, trattenuti dalla gelosia del console.
      Si aggiunga che Genzio s'era lasciato indurre da Perseo, colla promessa di una ragguardevole somma di danaro, a romperla con Roma, e ad imprigionare gli ambasciatori romani; dopo di che il re, avaro com'era, giudicò superfluo di pagare la somma promessa, perchè Genzio si trovava ormai costretto, indipendentemente da ciò, a spiegare una attitudine decisamente ostile a Roma in luogo del contegno ambiguo che aveva tenuto fino allora.
      Così i Romani dovettero sostenere una piccola guerra accanto a quella grande che durava ormai da tre anni.
      Se Perseo avesse saputo staccarsi dal suo oro, avrebbe potuto suscitare, contro i Romani, nemici ancora più formidabili.
      Un'orda di Celti, di 10.000 uomini, parte a piedi parte a cavallo, comandata da Clondico, si offrì di entrare a servizio della Macedonia, ma non potè mettersi d'accordo sulla paga. Anche nell'Ellade il fermento era così grande che, con una certa destrezza e con danaro ben adoperato, vi si sarebbe potuta facilmente organizzare una guerra di bande; ma, siccome Perseo non aveva volontà di spendere ed i Greci non facevano nulla gratuitamente, il paese si mantenne tranquillo.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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