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      In una repubblica retta da assemblee popolari molte cose sono possibili; ma questo insano intervento di una città commerciale, intervento che può essere stato deciso quando in Rodi si sapeva già quanto avvenuto al passo di Tempe, abbisogna di uno speciale chiarimento.
      La chiave di questo è il fatto constatato dal console Quinto Marcio, da quel maestro di «moderna diplomazia» che era, il quale nel campo presso Eraclea (quindi dopo l'occupazione del passo di Tempe) ricolmò di gentilezze l'inviato rodiota Agepoli, e sotto mano lo pregò di farsi mediatore per la pace.
      La vanità e la follia repubblicana fecero il resto; si credette che i Romani si sentissero perduti; e desiderando ardentemente di farsi mediatori tra quattro grandi potenze, nello stesso tempo si iniziarono pratiche con Perseo; ambasciatori rodioti di sentimenti macedoni dissero più di quello che dovevano dire e così si cadde nella rete.
      Il senato, che senza dubbio era in gran parte ignaro di questi intrighi, udì la strana notizia con una indignazione facile a capire, e andò lieto della buona occasione che gli si offriva di poter umiliare l'arrogante città mercantile. Un bellicoso pretore si lasciò persino trasportare a proporre al popolo di dichiarare la guerra a Rodi.
      In vano gli ambasciatori rodioti scongiurarono ripetutamente, genuflessi, il senato di voler ricordare piuttosto l'amicizia di centoquarant'anni che non un solo errore: invano mandarono essi i capi del partito macedone sul patibolo o a Roma; invano spedirono una pesante corona d'oro in segno di riconoscenza per la omessa dichiarazione di guerra.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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