Quegli stati quindi non dovevano nè sciogliersi per totale impotenza ed anarchia, come avvenne in Grecia, nè passare dalla semilibera loro condizione ad una piena indipendenza, come tentò, non senza qualche successo, la Macedonia.
Nessuno stato doveva cadere interamente in rovina, ma nessuno doveva ambire ad esistere per forza propria; perciò il nemico vinto aveva, presso i diplomatici romani, per lo meno una posizione eguale, spesso migliore, che non l'alleato onesto; e lo sconfitto veniva sollevato, mentre chi voleva sorreggersi da sè veniva abbassato. Di ciò fecero esperimento gli Etoli, la Macedonia dopo la guerra d'Asia, Rodi, Pergamo.
Senonchè questa parte di protettore divenne non solo ben presto intollerabile ai signori ed ai servi, ma lo stesso protettorato romano, coll'ingrato suo lavoro di Sisifo, che doveva sempre ricominciare, si dimostrò internamente impossibile.
I principî di un cambiamento di sistema e della crescente avversione di Roma a tollerare nella sua vicinanza persino stati di ordine medio che si mantenessero in relativa indipendenza, si rivelano già chiaramente dopo la battaglia di Pidna nella distruzione della monarchia macedone.
L'intervento, che andava facendosi sempre più frequente, e che si rendeva sempre più indispensabile negli affari interni dei piccoli stati greci a cagione del loro mal governo e della loro anarchia politica e sociale, il disarmo della Macedonia, per la quale al confine settentrionale si richiedeva ben altra difesa che non una semplice guardia, e, finalmente, i cominciati versamenti delle imposte fondiarie della Macedonia e dell'Illiria nelle casse di Roma. sono altrettanti indizi della imminente conversione degli stati clienti in sudditi di Roma.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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