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      A questo proposito basterà ricordare la procella provocata dalla candidatura di Catone per ottenere la censura, e le misure prese dal senato, che tralasciò in modo insolito ogni riguardo e con la violazione di tutte le forme, per impedire l'inchiesta giudiziaria contro i due censori impopolari dell'anno 550=284.
      A questa glorificazione della censura va unita una certa caratteristica diffidenza del governo verso questo suo importante, e appunto perciò pericolosissimo, strumento.
      Era assolutamente necessario di lasciare ai censori l'illimitato controllo sulle persone dei senatori e dei cavalieri, poichè non si poteva separare il diritto dell'esclusione dal diritto di nomina, e non si poteva rinunciare al primo non tanto per allontanare dal senato le capacità dell'opposizione - ciò che il debole governo di quel tempo prudentemente evitava - quanto per mantenere l'aristocrazia nella sua aureola morale, senza la quale essa doveva necessariamente divenir preda dell'opposizione.
      Oltre alla limitazione inerente alla carica stessa, in quanto le liste dei membri delle corporazioni nobili non andavano soggette a revisione, come per il passato, in ogni momento, ma solo di cinque in cinque anni, ed oltre alle restrizioni risultanti dal diritto del veto del collega e dal diritto di cassazione del successore, se ne aggiunse un'altra sensibilissima, quella cioè, che l'uso, equivalente a legge, imponeva al censore di non cancellare dalla lista alcun senatore e alcun cavaliere senza addurre in iscritto i motivi dell'esclusione, e di ordinario senza far precedere l'assoluzione, per così dire, da una procedura giudiziaria.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





Catone