È però evidente, che questa assemblea, per le cambiate circostanze, non era più quella che era quando tutti gli elettori potevano esercitare il loro diritto di cittadino in modo che, partendo dal podere al mattino, vi potessero ritornare la sera. Si aggiunga che il governo - s'ignora se per balordaggine, per trascuratezza o per perfidia - non registrava più come prima nei collegi elettorali di nuova costituzione i comuni, che dopo l'anno 513=241 erano stati ammessi alla cittadinanza, ma li iscriveva negli antichi; così che a poco a poco ogni collegio si componeva di parecchi comuni dispersi su tutto il territorio romano.
Collegi elettorali come questi, composti di 5000 elettori (e, come era ben naturale, gli urbani in numero maggiore, i rurali in numero minore) che d'altronde erano senza connessione locale ed unione interna, non consentivano alcuna precisa direttiva e alcun soddisfacente accordo preliminare; cosa deplorevole tanto più che nelle assemblee romane i dibattimenti non erano liberi.
Se la borghesia romana aveva piena facoltà di informarsi dei propri interessi municipali, era però dissennato ed assolutamente ridicolo lasciare che una massa di contadini italici, benpensanti sì, ma riuniti accidentalmente, desse il voto decisivo intorno alle più importanti e difficili questioni che dovevano essere risolte dalla potenza che dominava il mondo, e che uomini, che non comprendevano nè i motivi nè le conseguenze delle loro deliberazioni, giudicassero in ultima istanza sulla nomina dei generali e sui pubblici trattati.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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