Non si poteva però impedire che quei generali i quali avessero tentato invano, o non avessero la speranza di ottenere il trionfo dal senato o dai cittadini, facessero almeno, sul monte Albano, per proprio conto, una marcia trionfale (la prima nel 525=229).
Nessun combattimento contro un manipolo di Liguri o di Corsi era ormai considerato troppo insignificante per non chiedere gli onori del trionfo.
Allo scopo di togliere ai trionfatori pacifici, come per esempio erano stati i consoli dell'anno 583=171, la possibilità di domandare questo onore, fu messa la condizione di aver comandato una battaglia campale, nella quale fossero stati uccisi per la meno 5000 nemici: ma anche questa condizione fu spesso elusa col mezzo di comunicati falsi.
E qui è il luogo di osservare che, fin d'allora, si vedevano nelle case dei signori brillare molte armature che non avevano veduto i campi di battaglia. Mentre, prima, il supremo duce, spirato il termine del suo comando, si onorava di entrare a far parte dello stato maggiore del suo successore, ora si considerò una dimostrazione contro il moderno orgoglio il fatto che il consolare Catone assunse la carica di tribuno di guerra sotto Tiberio Sempronio Longo (560=194) e sotto Manlio Glabrio (563=191)
Prima bastava il ringraziamento espresso una sola volta dalla repubblica per il servizio reso allo stato: ora sembrava che ogni merito acquistato esigesse una distinzione permanente.
Già Gaio Duilio, vincitore a Milazzo (494=260), aveva ottenuto di essere preceduto, quando la sera girava per le vie della capitale, da un portafiaccola e da un piffero.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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