I nobili al potere guardavano con alterigia questo vociferatore plebeo, e non a torto si ritenevano essi di gran lunga a lui superiori; ma la corrotta ed elegante gioventù, nel senato e fuori, tremava alla presenza del vecchio censore dei costumi, del fiero repubblicano, del veterano della guerra annibalica coperto di cicatrici, al cospetto del senatore influentissimo e del difensore dei contadini romani.
Egli rinfacciava pubblicamente ad ognuno dei suoi nobili colleghi, la somma dei loro trascorsi, non senza addurne scrupolosamente le prove, e ben inteso con particolare piacere s'accaniva contro coloro che lo avevano personalmente ostacolato ed irritato.
Colla stessa imperturbabilità deplorava pubblicamente anche i cittadini per ogni nuova disonestà e per ogni eccesso.
Le sue amare invettive gli procacciarono innumerevoli nemici, e visse in guerra aperta ed implacabile con i più potenti partiti della nobiltà di quel tempo e particolarmente cogli Scipioni e con i Flaminini. Fu accusato pubblicamente quarantaquattro volte. Ma nelle votazioni i contadini non dimenticarono giammai l'imperterrito propugnatore delle riforme - e questo prova quanto allora fosse ancora potente nel medio ceto dei Romani quello spirito che aveva fatto sopportare la giornata di Canne - anzi, quando nel 570=184 Catone, col nobile suo partigiano Lucio Flacco, sollecitò la carica di censore e annunziò anticipatamente che essi intendevano di fare, in quest'ufficio, una purificazione radicale dei cittadini in tutti i ranghi ed in tutte le classi, i cittadini elessero a quella carica i due uomini così temuti malgrado gli sforzi della nobiltà, la quale dovette sopportare in pace che si facesse effettivamente il grande repulisti, e che fossero, fra tanti altri, radiati dalla lista dei cavalieri il fratello dell'Africano, e dalla lista dei senatori il fratello del liberatore dei Greci.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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