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      L'edificio costituzionale romano, composto con tanta arte, perdette così un mezzo correttivo assai proficuo in quel singolare sistema collegiale degl'impieghi, ed il governo, da cui dipendeva la proclamazione della dittatura, cioè la sospensione dei consoli ed ordinariamente anche l'indicazione del dittatore da nominarsi, perdette uno dei più efficaci suoi strumenti. Il senato vi riparò, ma assai debolmente colla pretesa, da esso sostenuta d'allora in poi, d'accordare ai supremi magistrati in attività un potere quasi dittatoriale in casi straordinari, specialmente nel caso di una sollevazione improvvisa o di una guerra, affinchè provvedessero a proprio talento: qualche cosa di simile al giudizio statario dei nostri giorni. Nello stesso tempo si andava estendendo pericolosamente l'autorità del popolo nelle nomine dei magistrati, nelle questioni politiche, amministrative e finanziarie.
      I collegi sacerdotali e, particolarmente, quelli politicamente più importanti degli auguri, si completavano, secondo le antiche consuetudini, nel proprio seno, ed eleggevano essi stessi i loro capi, se pure ne avevano. Difatti in questi collegi, destinati a tramandare la scienza delle cose divine di generazione in generazione, l'unica forma di elezione che si confacesse allo spirito dell'istituzione, era l'aggregazione.
      Quindi la circostanza, che in quel tempo (prima del 542=212) sia passata dai collegi all'assemblea del popolo non solo l'elezione ai collegi stessi, ma anche la designazione dei curioni e dei pontefici tolti dal seno di queste corporazioni, benchè non abbia un gran valore politico, è però importante perchè accenna all'incipiente disorganizzazione degli ordinamenti repubblicani; cui occorre inoltre aggiungere che l'atto di elezione, con un rispetto religioso, ma di sola apparenza, tutto proprio dei Romani, si compiva solo dal minor numero delle circoscrizioni elettorali, e quindi non dal «popolo».


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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