Ma fu un tratto indegno quello di escludere (poco prima del 556=198) per mezzo della legge claudia - sulla quale ritorneremo - dalla speculazione tutte le case senatorie, obbligandole, in conseguenza, ad investire gli immensi loro capitali preferibilmente in beni immobili, cioè a rimpiazzare le antiche tenute rustiche con masserie e con pascoli.
A favorire la pastorizia in luogo dell'agricoltura, benchè di gran lunga meno produttiva, concorsero inoltre delle speciali circostanze. Prima di tutto questo modo di utilizzare il suolo - l'unico che esigesse e ricompensasse grandi operazioni - era il solo che corrispondesse alla massa dei capitali ed allo spirito dei capitalisti di quel tempo.
Benchè l'economia rurale non esigesse la costante presenza del proprietario del podere, esigeva però le frequenti sue visite, e non permetteva l'estensione dei poderi, e solo entro limitati confini la moltiplicazione delle proprietà; il latifondo a pascolo, invece, poteva essere esteso illimitatamente e non esigeva molta cura da parte del padrone.
Per questo motivo si cominciò già a convertire, benchè con perdita di entrate, i buoni terreni arativi in pascoli, pratica che la legislazione, a dir vero, proibì - non si sa quando, ma probabilmente in questo tempo - sebbene con poco successo.
Si aggiunga l'occupazione dei beni demaniali, in virtù della quale sorsero non solo, esclusivamente, vaste tenute, poichè d'ordinario si procedeva all'occupazione di ragguardevoli estensioni di terreno, ma i possidenti, sempre incerti sulla legale durata dell'occupazione, soggetta a revoche arbitrarie, temevano d'impiegare ingenti capitali in migliorie e particolarmente in piantagioni di viti e d'ulivi; donde la conseguenza di sfruttare questi terreni preferibilmente per la pastorizia.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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