Non c'era quindi da meravigliarsi se lo spirito mercantile si andava insinuando nella nazione, o per dir meglio giacchè questo spirito non era nuovo in Roma - se il desiderio di arricchire penetrava allora in tutte le classi sociali, e se l'agricoltura, non meno del governo, incominciava a diventare impresa da capitalisti.
La conservazione e l'accrescimento del patrimonio faceva assolutamente parte della morale pubblica e privata.
Nei precetti pratici composti per suo figlio, Catone dice: «Scemi pure la sostanza d'una vedova; l'uomo deve accrescere la propria, e colui è degno di lode e pieno di spirito divino, i cui registri, dopo la sua morte, insegnano che gli acquisti da lui fatti superano i beni aviti». Quando il dare e l'avere si equilibrano, è rispettato qualsiasi contratto anche se concluso senza ombra di formalità; e in caso di bisogno è concessa alla parte lesa la via dei tribunali se non dalla legge, dalla consuetudine mercantile e giudiziaria(43); ma la promessa di donazione senza alcuna formalità è nulla, tanto nella teoria quanto nella pratica legale.
A Roma, dice Polibio, nessuno dona qualche cosa ad alcuno se non vi è obbligato, e nessuno paga nemmeno un quattrino prima del giorno della scadenza, e ciò si osserva anche tra parenti prossimi.
A questa morale mercantile si riferiva persino la legislazione la quale ravvisava uno sperpero in ogni dono fatto senza ricompensa; un plebiscito restrinse in quel tempo l'uso di fare regali e lasciti, e l'assunzione di malleverie; le eredità non devolute ai più prossimi parenti erano soggette ad una tassa.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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