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      Coll'introduzione del dramma greco crebbero le pretese degli artisti, e pare che non ve ne fosse abbondanza; una volta si dovette ricorrere a dilettanti per rappresentare un dramma di Nevio.
      Ma con tutto ciò la condizione dell'artista non cambiò: il poeta, o come questi veniva chiamato in quel tempo, lo «scrivano», l'attore ed il compositore appartenevano, prima e dopo, non solo alla classe poco stimata dei mercenari, ma erano anche, prima e dopo, tenuti in poco conto dal pubblico e maltrattati dalla polizia, e perciò, chi voleva conservarsi una buona riputazione, si teneva lontano da questa professione.
      Il direttore della compagnia (dominus grecis, factionis ed anche choragus), al tempo stesso anche capocomico, era per lo più un liberto e i componenti la compagnia erano suoi schiavi; i compositori i cui nomi sono pervenuti a noi, sono tutti schiavi.
      La mercede non solo era assai tenue - l'onorario di un poeta teatrale, 8000 sesterzi (lire 2145), è giudicato poco dopo la fine di questo periodo, come insolitamente alto - ma era inoltre pagata dall'impresario delle feste soltanto se lo spettacolo piaceva.
      E tutto finiva col pagamento: le gare di poeti ed il premio d'onore, come nell'Attica, non si conoscevano ancora a Roma; pare che in questo tempo si usasse solo applaudire o fischiare come si usa ora e che non si facesse rappresentare più di un dramma al giorno(61). In tali circostanze, in cui l'arte era esercitata a prezzo di giornata, e in cui l'artista invece di ricevere onori raccoglieva vergogna, il nuovo teatro nazionale romano non poteva svilupparsi coi propri originali elementi e neppure con elementi artistici in generale; e mentre la generosa gara dei giovani ateniesi aveva dato vita al dramma attico, il teatro romano, in generale, non poteva diventare altro che una brutta copia; e desta anche meraviglia il fatto ch'esso abbia potuto avere ancora tanta grazia e tanto spirito in alcune sue particolarità.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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