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      Queste produzioni, si capisce, non pretendevano ad un grande e reale effetto politico; il loro pregio consisteva, anzitutto, nell'occupare l'attenzione tanto colla materia, per la quale la nuova commedia si distingueva dall'antica, non meno per la sua maggiore vacuità intrinseca, che per la maggiore complicazione dell'intreccio, quanto, anzi più specialmente per la diligenza posta nei particolari e nelle minuzie, in cui l'eleganza della conversazione era il vanto del poeta e il diletto del pubblico. Complicazioni e confusioni, con le quali va benissimo d'accordo il passaggio alla farsa stravagante e spesso licenziosa - come ad esempio la «Casina» che in vero stile falstaffiano termina con la partenza dei due sposi e del soldato vestito da donna - scherzi, frottole ed enigmi, che, in mancanza d'una vera conversazione, erano il passatempo delle mense di questo tempo, riempiono, per la maggior parte, queste commedie.
      I poeti che le scrissero non avevano dinnanzi, come Eupoli e Aristofane, un gran popolo, ma piuttosto una società colta, la quale ad esempio di altre società colte, perdeva il suo tempo indovinando rebus e giocando alle sciarade.
      Ed è anche per questo ch'essi non ci dànno alcun quadro del loro tempo (in queste commedie non si trova alcuna traccia del grande movimento storico e intellettuale, e dobbiamo fare uno sforzo per ricordarci che Filomene e Menandro sono stati contemporanei di Alessandro e d'Aristotele), ma ci presentano invece un elegante e fedele specchio della colta società attica, dal cui ambito la commedia non esce mai.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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