Per una notevole singolarità, in quei caratteri che abbiamo ora accennati, la verità psicologica è quasi sempre rappresentata da una astratta derivazione d'idee: l'avaro raccoglie le spuntature delle unghie e rimpiange la lacrima sparsa come acqua sciupata.
Ma questo difetto di efficacia nel ritrarre la natura dei caratteri, e, in generale, tutta la vacuità poetica e morale della nuova commedia, è non tanto da ascriversi a colpa dei poeti comici, quanto a tutta la nazione.
Lo spirito, proprio dei greci, si andava affievolendo; patria, fede popolare, famiglia, ogni nobile passione, ogni generoso sentimento s'annebbiavano; la poesia, la storia e la filosofia venivano sfruttate, e all'Ateniese non era rimasto altro che la scuola, il mercato di pesce e il bordello; non può dunque meravigliare, nè si può ragionevolmente accusare alcuno, se la poesia, che è destinata a glorificare la esistenza umana, non potè trarre da una tale vita niente altro fuorchè quello che ci presenta la commedia di Menandro. È anzi molto notevole che, appena la poesia di questo tempo potè in qualche modo sollevarsi sulla corrotta vita attica, senza cadere nell'imitazione scolastica, acquista immediatamente forza e freschezza di ideali.
Nell'unico avanzo della tragedia parodiata di questo tempo, nell'Amphitruo di Plauto, spira un'aria più pura e più poetica, che in tutti gli altri frammenti del teatro contemporaneo; gli dei bonari, trattati con gentile ironia, le nobili figure del mondo eroico, gli schiavi burlescamente vigliacchi, presentano tra di loro le più meravigliose antitesi e, dopo il comico andamento dell'azione, la nascita del figlio degli dei, fra tuoni e lampi, offre un effetto finale quasi grandioso.
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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 343 |
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Ateniese Menandro Amphitruo Plauto
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