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      È di grande significazione, per chi voglia farsi una idea del vero e proprio carattere dei Romani, il fatto che, al di là dei confini d'Italia e il continuo contatto dell'alta società romana coi Greci, così esperti in ogni genere di letteratura, il bisogno di portare a conoscenza dei contemporanei e dei posteri, per mezzo di scritti, le gesta e i destini dei cittadini romani, non si facesse sentire prima della metà del sesto secolo.
      Ma quando si cominciò a provare questo bisogno, mancava tanto una forma letteraria adatta per esporre la materia storica, quanto un pubblico preparato alla lettura e furono necessari un gran talento e molto tempo per raggiungere tale scopo.
      Prima di tutto queste difficoltà furono in certo modo superate verseggiando la storia nazionale in latino, o scrivendola in prosa greca. Abbiamo già ricordato le cronache verseggiate di Nevio (scritte verso l'anno 550=204) e quelle di Ennio (scritte verso l'anno 581=173); esse appartengono alla più antica letteratura storica dei Romani, e quella di Nevio si considera la più antica opera storica romana.
      Comparvero quasi nello stesso tempo (circa l'anno 553=201) i libri storici in greco di Quinto Fabio Pittore(85) discendente da nobile famiglia, che prese parte attiva negli affari dello stato durante la guerra annibalica, e quelli del figlio di Scipione Africano, Publio Scipione (morto verso l'anno 590=164).
      Nel primo caso si ricorreva al verso, che già era divenuto più duttile, e si cercavano lettori tra un pubblico al quale non mancava il senso poetico; nell'altro caso si trovavano belle e pronte le forme greche, e si mirava, come pareva richiederlo l'interesse del soggetto, a conquistare l'attenzione innanzi tutto delle classi colte e del mondo civile, che si allargava al di là dei confini del Lazio.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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