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      Quanto alla filosofia greca, benchè essa, per mezzo della didattica e particolarmente della poesia tragica, avesse acquistata una certa influenza sui Romani, veniva però considerata con un senso di sgomento, in cui entravano la rustica ignoranza e un istinto pieno di presentimento.
      Catone chiamava francamente Socrate un parolaio ed un rivoluzionario, giustamente condannato a morte come traditore della fede e delle leggi del suo paese; e per avere un saggio dell'idea che i Romani avevano della filosofia, compresi anche quelli che le erano più favorevoli, valgano le seguenti parole di Ennio:
      Philosophari est mihi necesse, at paucis; nam omnino haut placet, degustandum ex ea non in eam ingurgitandum censeo.
      (Filosofare io voglio, ma brevemente; che il far altrimenti non mi piace, poichè è cosa da degustare, non da tuffarcisi).
      Ciò non ostante la morale poetica e le norme sull'arte oratoria che si trovano fra gli scritti di Catone, possono considerarsi come la quintessenza romana, o, preferendo un'altra espressione, come il romano caput mortuum della filosofia e della retorica greca.
      Le più immediate fonti, cui attinse Catone per il suo poema sulla morale, oltre all'evidente raccomandazione dei semplici costumi degli avi, furono probabilmente gli scritti morali di Pitagora; per la sua arte oratoria le orazioni di Tucidide e particolarmente quelle di Demostene, ch'egli studiava con grande passione.
      Noi possiamo farci press'a poco un'idea dello spirito di questi manuali dall'aurea massima oratoria, più spesso citata che seguìta dai posteri: rem tene, verba sequentur.


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Storia di Roma
4. Dalla sottomissione di Cartagine a quella della Grecia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 343

   





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