Se questa, come pare, fu la loro intenzione, gli effetti furono affatto opposti, e tali non potevano non essere.
Dopo il raggio di luce portato dalla rivoluzione francese nella coscienza dei popoli, non era possibile che questi dovessero rimanere a lungo rassegnati davanti alla iniqua spogliazione dei loro diritti, vivendo in perpetuo servaggio.
Tuttavia ci fu ai tempi nostri un dottrinario rivoluzionario e anarchico, il Proudhon, che in quel suo libro, più paradossale che filosofico, La Guerre et la Paix, osò scrivere parecchie pagine in difesa del Trattato di Vienna.
Un'idea buona - rapita non a Napoleone, come questi pretese, ma alla rivoluzione - gettata in quell'alleanza, era la base d'una più intima unione europea; ma l'idea era stata guastata dalla pretesa di quei regnanti di voler vedere negli interessi generali soltanto gli interessi dinastici, e di considerare i popoli come aggregati privi di personalità morale.
Gli avvenimenti non tardarono a mostrar loro il grande errore in cui erano caduti, ma invece di trarne profitto per cercar di correggere mano mano l'opera propria, dando volta per volta soddisfazione alle legittime aspirazioni dei popoli, non fecero che peggiorarla, trattando quanti manifestavano desiderio di libertà, o si agitavano in nome della nazionalità, quali ribelli da tener soggetti colla forza.
In Germania, dove il sentimento nazionale e liberale s'era manifestato con maggiore vigoria nelle guerre contro Napoleone, le feste del 1817, in commemorazione del terzo centenario della Riforma, furono occasione a grandi manifestazioni patriotiche, alla testa delle quali professori e studenti di Università reclamavano dai principi il mantenimento delle promesse date di libere costituzioni.
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