Nel 1813 Bolivar dalla Nuova Granata porta le armi liberatrici nel Venezuela. Con 500 combattenti assale l'esercito spagnuolo, forte di 6000 uomini, comandato dal gen. Monteverde; e con quel pugno di gente, come scrisse Cesare Cantù, "difende la rivoluzione, quando appunto Buonaparte con cinquecento mila uomini la lasciava perire in Europa."
A Samagosa, dopo 43 giorni di marcia, varcate le Ande, più difficili delle nostre Alpi, sorprende gli spagnuoli e li sbaraglia completamente.
Libere tutte le terre del Plata, da Buenos Aires a Tucuman, gli insorgenti, guidati da San Martin, pensano di cacciare gli spagnuoli anche dal Chile. Con 4000 uomini, dopo aver percorso trecento miglia valicando montagne elevatissime, affrontano gli spagnuoli, e vincono; e dopo lunga resistenza il primo dell'anno 1818 i rappresentanti del Chile riuniti in assemblea, con solenne augurio «alla grande Confederazione del genere umano», ne proclamano l'indipendenza.
Non potendo vincere gli insorti colla forza, i generali e governatori spagnuoli credono di domarli col terrore; e decretano morte a chi sarà preso coll'armi alla mano o abbia favorito la rivolta. Gli ufficiali degli insorti caduti prigionieri erano fucilati; corpi interi, arresisi, passati per le armi.
A tanta ferocia gli insorgenti rispondevano con rappresaglie non meno crudeli; e Bolivar proclama anch'egli la guerra a morte; e alle minaccie fa seguire gli effetti. Ciò che prova come in guerra, anche chi combatte per una causa giusta, resiste difficilmente alla voce della vendetta.
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