Tre date culminanti della storia francese dell'ultimo secolo: 1848, 1851 e 1870, trovano nei sentimenti e nelle speranze che quella frase accarezzava la loro spiegazione.
Qualche giorno dopo le tre giornate di luglio, Luigi Filippo, col titolo da lui assunto di «re dei Francesi, per la grazia di Dio e la volontà nazionale» giurava fedeltà alla Carta, non più largita, ma imposta dalla nazione e da lui consentita.
La Fayette, nell'offrirgli la corona in nome del popolo vincitore aveva detto: «vogliamo un regno circondato da istituzioni repubblicane».
Fuori di Francia la rivoluzione di Luglio produsse una scossa immensa.
Popoli e re ne furono impressionatissimi, vedendovi, i primi con gioia, i secondi con gran timore, una riscossa dell'89.
Sarà il preludio di un nuovo 93? Il periodo delle grandi guerre fra la Francia democratica e l'Europa monarchica sta per riaprirsi?
I popoli insofferenti della servitù, insorgendo contro le dominazioni loro imposte dai trattati del 1814 e 1815, troveranno nella Francia un appoggio o un nuovo padrone?
Questi i dubbii che agitarono in quel tempo gran numero di patrioti e parecchi governi di Europa, ai quali i moti di lì a poco avvenuti nel Belgio, indi in Italia e in Polonia, dovevano dare presto una risposta.
Questa risposta, seguendo il suo proprio impulso, Luigi Filippo avrebbe potuto e dovuto darla subito. Egli che aveva partecipato alla più legittima e più gloriosa delle guerre, e aveva veduto a quali tristi risultati aveva condotto lo spirito bellicoso dei francesi, era della guerra più avversario che amico.
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