Alla sera di quel giorno (5 giugno) si combatteva ancora in molti punti della città con diversa fortuna; ma senza appoggio, neppur morale, degli uomini più autorevoli del partito repubblicano, l'insurrezione aveva le sue ore contate.
All'indomani (6 giugno), gli insorti non avevano che due soli quartieri, tra il sobborgo Sant'Antonio e la chiesa di San Mery. Assaliti da numerose truppe con artiglieria e cavalleria, la resistenza era vana; tuttavia ridotti a un pugno d'uomini, continuarono dal chiostro di San Mery e da una casa vicina a tirar fucilate contro i soldati, finchè uccisi o feriti i più di quegli ultimi insorti, e caduti in potere della truppa la casa e il convento, i superstiti furon fatti prigionieri.
La fine infelice e facilmente prevedibile di quella lotta, il sangue sparso di poveri soldati, figli del popolo, e la perdita di valorosi compagni, avrebbe dovuto far comprendere ai repubblicani di quel tempo, che non era per via siffatta che la loro causa poteva trionfare; ma era ancor troppo fresca la memoria delle giornate vittoriose del 1830, ch'essi attribuivano ad esclusivo loro merito, perchè potessero rinunciare ad un tratto a ritentarne la prova.
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Vittorioso in Vandea contro i realisti, in Parigi contro i repubblicani, si sarebbe potuto credere il regno di Luigi Filippo ormai sicuro del suo avvenire; invece non era che al principio delle difficoltà.
Nel 1834 essendo stata sciolta dal governo la società operaia lionese dei Mutuellistes, in seguito ad uno sciopero dei lavoranti in seta, avvenne in Lione un'altra terribile insurrezione, che ebbe questa volta carattere repubblicano, diretta dagli affigliati alla Società dei Droits de l'homme.
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