Aveva nei primi anni del suo regno ordinato il massacro dei gianizzeri, misura feroce, ma che liberò lo Stato dal dominio di cotesta soldatesca, che innalzava o deponeva i sultani, trucidandoli, quando cessavano di accondiscendere alle sue voglie. Aveva iniziato la riforma dell'esercito, chiamando a organizzare le milizie regolari ufficiali europei, fra i quali fuvvi il danese Moltke, che, passato poi al servizio della Prussia, doveva essere stromento della di lei fortuna.
Mahmoud aveva del riformatore l'ambizione e l'audacia, ma non il genio, nè l'abilità.
Mandò ambasciatori a risiedere presso le potenze estere, cosa nuovissima per la Turchia.
Introdusse nello Stato cartiere e industrie, e consentì che si pubblicassero giornali.
Riformò il Divano, tentò correggere gli abusi degli ulema; ma, come fu detto d'un papa, il male lo fece bene, e il bene lo fece male, guastando le cose buone coi suoi vizi.
Beveva vino, benchè vietato dal Corano, fino ad ubbriacarsi, e gli harem riempì di giovani greche cristiane, fra le quali passava intere notti.
Così invece di rimodernare l'islamismo, ravvivò il fanatismo maomettano, che in lui vide un rinnegato, e invece dello sperato appoggio d'Europa, divenne, nel suo palazzo, prigioniero ora della Russia, ora dell'Inghilterra.
Del generale malcontento e dell'anarchia disseminata in molte parti dell'impero, volle approfittare Mehemet-Alì, pascià di Egitto.
Questi nella guerra di Grecia aveva mandato in aiuto della Turchia un forte esercito, comandato da suo figlio Ibrahim, e in compenso aveva avuto dal sultano la promessa del viceregno ereditario d'Egitto e del governo di Siria.
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