Pio IX arrivava in un momento decisivo, nel momento, diremmo, psicologico, per i destini italiani. Era l'indomani della pubblicazione del libro di Massimo d'Azeglio sugli Ultimi casi di Romagna, che aveva destato un gran rumore negli Stati pontifici. In esso, dopo aver messo in bilancia i torti dei rivoluzionari e i torti del governo, e mostrato questi come causa di quelli, l'autore eccitava il governo papale a mettersi nella via delle civili riforme, che gli avrebbero assicurato le simpatie e la fiducia delle popolazioni, ed esortava gli italiani ad abbandonare la via delle sommosse per seguir quella delle proteste civili.
«Quando in una nazione (diceva) tutti riconoscono giusta una cosa e la vogliono, la cosa č fatta....». Poi soggiungeva: «Le vie aperte al coraggio civile, e i modi del protestare sono infiniti».
Era il tempo in cui pił ferveva la discussione intorno all'idea immaginata e bandita da Vincenzo Gioberti colla sua poderosa opera Il Primato civile e morale degli italiani, e con altre minori, che consisteva nel fare di un papa innovatore e patriota, a capo di una lega di principi italiani, il fulcro della rigenerazione politica d'Italia.
Questa idea, che aveva trovato qua e lą dei proseliti fra la gente che per istintiva inerzia č solita attendere dalla provvidenza o dal caso la fortuna, fu giudicata da molti un anacronismo; ma quando sulla cattedra di San Pietro apparve l'uomo che pareva disposto a mettersi nella via indicata dall'opinione liberale, i fautori di un papato neoguelfo divennero legione, e non andņ molto che Gioberti fu acclamato profeta.
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