Continuata la resistenza con poche bande nei monti dell'estrema Calabria, finì colla tragica morte di Domenico Romeo, promotore dell'insurrezione, il quale, mortalmente ferito e caduto prigioniero dei borboni, ebbe il capo reciso mentre ancor respirava, e infisso questo su un palo, fu fatto portare, in segno di trionfo, attraverso la città di Reggio - orribile a dirsi! - da un nipote medesimo dell'eroe ucciso.
In Messina un tentativo insurrezionale fu parimenti soffocato nel sangue. Gli sgherri del dispotismo credettero così di avere spento per sempre ogni spirito di libertà; invece non fecero che vieppiù accrescere l'odio di quelle popolazioni contro il governo borbonico.
Intanto che avvenivano questi tragici fatti nella bassa Italia, in Roma artisti e studenti, ottenuta la guardia civica, si addestravano al maneggio del fucile.
I monaci medesimi questuavano per aumentare il fondo dell'armamento nazionale.
I municipii mandavano a Pio IX proteste di fedeltà; cittadini e funzionari tutti giuravano di dare la vita in difesa del territorio.
Fino allora nei principali promotori del movimento nazionale italiano, l'idea patriottica non s'era mai disgiunta dal sentimento umanitario.
Il più bel sogno dei nostri poeti e dei nostri educatori sarebbe stato quello di vedere la redenzione politica d'Italia effettuata senza che fosse sparso una stilla di sangue da nessuna parte.
Pur troppo era un sogno, che l'occupazione austriaca di Ferrara aveva fatto svanire.
Considerata da quel momento la guerra come inevitabile, bisognava studiare di combatterla colla certezza della vittoria.
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