Guizot governava senza interruzione da otto anni, e perchè aveva vinto altre volte le opposizioni coalizzate, credeva di poterle vincere sempre.
Filosofo e storico capace di raccogliere in grande sintesi gli avvenimenti di un'epoca e di un regno, e le cause complesse di una rivoluzione passata, non vedeva il filo degli avvenimenti che si preparavano sotto i suoi occhi. Ammiratore del parlamentarismo inglese, vedeva in una oligarchia di ottimati, appoggiata da una maggioranza parlamentare, il modello dei governi. Molto orgoglioso per giunta, sentenziò un giorno dalla tribuna, per confondere i suoi avversari democratici: «Il giorno del suffragio universale non lo vedrete mai!» E fu invece lui che lo affrettò, opponendosi a quella riforma, la quale, effettuata a tempo, l'avrebbe ritardato.
Invece di tener conto dei voti manifestati con tanta forza e anche da uomini devoti alla monarchia, nel discorso della Corona che apriva la nuova sessione parlamentare (28 dicembre), il re, alludendo all'agitazione dei banchetti elettorali, aveva detto: «passioni nemiche o cieche la fomentano» e conchiudeva che il governo non avrebbe ceduto.
Era il guanto di sfida gettato alla Francia devota ai principî dell'89, la quale non tardò a raccoglierlo.
Le discussioni sull'indirizzo in risposta al discorso della Corona, fattesi in gennaio nei due rami del parlamento, furono lunghe e calorosissime anche intorno alla politica estera del ministero.
Nel suo discorso il re aveva appena lontanamente accennato agli avvenimenti italici con queste parole: «Io spero che i progressi della civiltà generale si compiranno dovunque di concerto fra i governi ed i popoli, senza alterare l'ordine interno e le buone relazioni degli Stati». Erano parole equivoche, che male rispondevano alle forti simpatie che i moti d'Italia avevano destato fin dal principio in tutta la parte liberale della Francia.
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