Nessuno parlò più di ministeri; era la monarchia, erano il re e la Corte che non si volevano più.
A cominciare dalla mezzanotte le campane di tutte le chiese suonarono a stormo.
Nella notte medesima la lotta fu ripresa con irresistibile ardore. Furono assaliti e disarmati parecchi posti militari; fu presa la caserma del sobborgo S. Martin, dove gli insorti trovarono migliaia di fucili.
Quella che nei due giorni innanzi non era stata che una sommossa, divenne una rivoluzione.
La notizia delle fucilate del boulevard dei Cappuccini aveva fatto in Parigi l'effetto d'una scintilla caduta in una polveriera.
Dalla mezzanotte alle 6 del mattino il popolo costrusse 1512 barricate - alcune delle quali alte fin dodici piedi, munite di cannoni, parevano veri ridotti. - Furono abbattuti 4013 alberi, spostate 1,277,000 pietre del selciato, invasi 54 corpi di guardia, 41 uffici del dazio, demolite e bruciate 43 garette.
Ormai la vittoria del popolo non era più dubbia, e di questo risultato la monarchia era debitrice al militarismo.
Quel militarismo, intendiamoci, che fa del soldato un automa, del comandante uno schiavo della consegna; - il militarismo che impone un'obbedienza cieca, che annienta colla ferrea disciplina la riflessione, lo spirito d'esame, la coscienza individuale - ecco il vero colpevole.
Quando si fa dell'esercito un'istituzione antagonista della società civile, e del soldato una macchina, che non ode e non sente altro che la voce del comando, e questo può in mille casi essere frainteso, fatalità o sciagure come quella accaduta sul boulevard dei Cappuccini possono ripetersi in molte altre analoghe circostanze.
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