Unico rimedio sarebbe di porre la forza armata, chiamata a sedare pubbliche turbolenze, sotto l'autorità di serî, avveduti, rispettati e rispettabili funzionari civili.
Un prefetto, un magistrato, un commissario di polizia, che si fossero trovati nel posto del colonnello Courant, alle istanze del luogotenente Schoumacher, non avrebbero risposto: questa non è la mia consegna; non avrebbero veduto nessun inconveniente nel lasciar libero il passaggio, in quell'ora di esultanza, alla colonna di cittadini che festeggiava la civile vittoria.
Ma accade talvolta che contro una legge così contraria ai migliori istinti dell'uomo, si ribellino in momenti supremi i più leali e valorosi soldati. È ciò che avvenne a Parigi l'ultimo giorno della lotta. Così Luigi Filippo il quale, come tutti i regnanti, aveva riposto nell'esercito la sua fiducia e le sue maggiori speranze, fu, egli e la sua dinastia, vittima in due modi dell'oggetto del suo culto; vittima dapprima della obbedienza alla consegna, che è dogma indiscutibile in tutti gli eserciti stanziali, poi, come vedremo, dell'infrazione a questo dogma antiquato ed assurdo.
Esempio istruttivo per tutti, ma di cui probabilmente ben pochi anche in futuro avranno la saggezza di approfittare.
IL 24 FEBBRAIO.
Durante la notte, come s'è veduto, il popolo parigino non era rimasto inerte.
Nel mattino gli insorti erano in possesso di una grande quantità di cartuccie, nè mancavano di fucili.
Quasi tutta Parigi era irta di barricate.
Sulle piazze, dove la cavalleria avrebbe potuto spiegarsi, erano stati sparsi rottami di bottiglie.
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