Fra quei nomi c'era Cesare Correnti, il quale, intervenuto anch'egli sul tardi a quell'adunanza, pregņ di lasciarlo fuori.
La prima cotta, egli disse, č quella che abbrucia.
Ma insistendo quei giovani, vi si rassegnņ.
Quanto alla lotta armata, si credette che, lasciandone l'iniziativa al popolo medesimo, avrebbe avuto maggiore probabilitą di vittoria.
Questa decisione, che non era nč la pace, nč la guerra, fu improvvida. Impediva di dare alla imminente sollevazione un carattere veramente umano e civile, e toglieva alla lotta i vantaggi d'una preparazione coordinata e previdente.
Nessuno pensņ a un piano generale di combattimento, nč a designare i luoghi dove gli uomini armati dovevano raccogliersi, nč a dar capi al popolo combattente, nč a tenere in continua comunicazione, mediante portatori di avvisi, i diversi quartieri nella cittą; e, ciņ che fu maggior danno, non si mandarono messi al di fuori per sollevare le borgate e le cittą minori, per disarmare e far prigioniere le piccole guarnigioni, per far saltare ponti e tagliare alberi e strade, affine d'impedire il concentramento delle truppe austriache, nel caso di ritirata dalle cittą che occupavano.
Quei rivoluzionari, nella imminenza della pił grande battaglia del secolo entro le mura d'una cittą, si mostravano in gran parte animati da nobilissimi sentimenti di umanitą.
«Proclamiamo unanimi e pacifici (diceva il manifesto che Correnti aveva avuto incarico di scrivere, ma che fu pubblicato a lotta gią cominciata) ma con irresistibil volere, che il nostro paese intende di essere italiano, e che si sente maturo a libere istituzioni.
| |
Cesare Correnti Correnti
|