Chiediamo, offrendo pace e fratellanza, ma non temendo la guerra....»
Qui seguivano le domande, che nella riunione notturna già accennata erano state indicate.
Meno di tutti volevano la lotta armata il podestà Casati, i municipali e i loro amici, che i rivoluzionari di via Disciplini avevano designato a far parte di un governo provvisorio.
A tutti poi sovrastava, come fautore di pace e di concordia, Carlo Cattaneo, il quale, nel programma di un nuovo giornale, Il Cisalpino, da lui scritto nella notte dal 17 al 18 marzo, inneggiava «allo spirito della libertà e dell'amore», ch'egli salutava nel moto che spingeva tutti i popoli d'Europa a rompere le catene di loro servitù; da quel movimento egli vedeva sorgere radiosa la «pace», ed esclamava: «Viva Pio IX, che getta fra le genti il segno di questa pace» e già rallegravasi nel pensiero della trasformazione dell'impero d'Austria in una federazione di Stati, nella quale la Lombardia e il Veneto avrebbero avuto Parlamento e armi proprie.
Così a poche ore di distanza dal sanguinoso conflitto, i voti dei maggiori e più riputati patriotti erano voti di concordia e di fratellanza universale.
Il 18 marzo.
Molti cittadini informati nelle ultime ore della sollevazione di Vienna e delle promesse riforme che n'erano stata la conseguenza, avevano passata la notte vegliando, col presentimento che la giornata sarebbe stata burrascosa, mettendo alcuni in ordine gli arrugginiti schioppi, o preparando cartuccie.
Quando al mattino, i milanesi uscirono di casa e trovarono sugli angoli della città il manifesto del vice-governatore, che trascriveva il dispaccio giunto da Vienna annunciante l'abolizione della censura, e la convocazione degli Stati e delle Congregazioni centrali di Lombardia e del Veneto pel giorno 3 luglio in Vienna, ebbero contemporaneamente l'avviso della grande dimostrazione che doveva farsi alle ore 2 di quel giorno, chi diceva al Broletto (sede allora del Municipio), e chi diceva sul Corso.
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