Il Municipio non desiderava di meglio che di sottrarsi al pericolo di prendere parte ad un atto rivoluzionario, quale sarebbe stata la proclamazione di un governo provvisorio, come il De Luigi e i suoi amici avevano divisato.
Fatta correre fra la folla la voce che per soddisfare i voti della cittadinanza, il Municipio si sarebbe recato in corpo alla sede del governo, il podestà Casati cogli assessori e il delegato provinciale (prefetto) Bellati, che aveva pur esso stanza al Broletto, scesero in cortile, per avviarsi, seguiti dalla moltitudine, al palazzo Monforte, sede del governo.
Quando il corteo, dopo avere evitato, girando a sinistra, la Gran Guardia ch'era in piazza Mercanti, fu in principio del Corso, il Casati dovette accorgersi che non era più in poter suo di guidare una dimostrazione, alla quale si poteva dire che tutta la città prendeva parte.
Lo spettacolo era immenso. Il Corso era tutto pieno di gente, e centinaia di persone, marciando in colonna serrata, precedevano il corteo del Municipio, dirigendosi evidentemente verso la stessa méta.
Le finestre ed i balconi erano gremiti di signore e di fanciulle, come da gran tempo non si era veduto. Tutte sventolavano fazzoletti, battevano le mani, mandavano evviva all'Italia e a Pio IX. Da molte finestre le fanciulle gettavano coccarde a profusione, accolte dovunque dalla folla con frenetica esultanza. Di una di queste coccarde il podestà Casati ebbe il petto fregiato da un uomo della folla.
Il corteo, mano mano che inoltrava, più ingrossava.
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