Prima che avessero fatto fuoco, furono loro addosso alcuni dei più animosi, che precedevano la folla di alcuni passi.
Con un colpo di pistola a bruciapelo tirato da un chierico (Zaffaroni), uno dei soldati fu spento; un altro dopo un colpo datogli sul capo con un bastone piombato, che lo tramortì, fu trapassato colla bajonetta del suo medesimo fucile; gli altri fuggirono.
Fu il primo sangue versato, e fu tanto più deplorevole in quanto poteva essere risparmiato. La folla era così imponente, che avrebbe potuto disarmare quei pochi soldati senza far loro altra violenza.
Erano vittime, non stromenti volontari del despotismo austriaco, e appartenevano a un paese, il quale come il nostro, agognava alla propria indipendenza, e avrebbe lottato più a lungo e più ostinatamente di noi italiani per riconquistarla.
Alla vista di quei due giovani robusti, fatti ad un tratto cadaveri, dall'occhio vitreo, dal viso livido, lordi del proprio sangue, alcuni fra i primi che sopraggiunsero colla folla provarono l'impressione d'un gelo che corresse loro per le vene, e confusamente sentirono quanto vi è di inumano e di crudele nel seminare di vittime innocenti il cammino della libertà. Essi avrebbero voluto far ritirare subito quei cadaveri; altri si opposero dicendo che in quei morti il popolo doveva vedere la propria forza, e che bisognava abituarlo alla vista del sangue, per famigliarizzarlo alla lotta; furono portati nel cortile e coperti con una stuoja.
Pur troppo la insurrezione, se metteva in luce virtù rare di abnegazione e di eroismo, ravvivava quegli istinti di lotta, che i buoni di ogni paese vorrebbero sopprimere.
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Zaffaroni
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