Non si poteva vedere per l'oscurità e per la fitta pioggia.
Noi eravamo sul piovente verso strada; essi verso il cortile, e distanti da noi non più di quattro braccia.
Ognuno si può immaginare la gioia nostra, vedendoli scendere; ma nessuno fiatava per non essere presi. Accovacciati alla meglio sui legni nudati di tegole, riposammo con una tremenda fame fino alle tre e mezza dopo mezzanotte».
(Archivio Triennale Vol. II n. 19).
Fra oltraggi e minaccie tutti i cittadini trovati nelle sale del Municipio e nell'appartamento del delegato provinciale, circa 200, col Bellati medesimo, gli assessori e non pochi appartenenti al più antico patriziato milanese furono condotti nella notte medesima prigionieri in Castello.
Fucilati tutti
, loro dicevano ufficiali e soldati, esasperati pei pericoli corsi e pei compagni uccisi e feriti.
Radetsky, dolente di non avere trovato, fra quei prigionieri, l'uomo ch'egli credeva capo dell'insurrezione, mandò in quella notte al generale Ficquelmont, presidente del Consiglio aulico di guerra, un rapporto, in cui diceva che il combattimento al Broletto durò "quattro ore, dai ribelli sostenuto con coraggio smisurato". Il rapporto così conchiudeva:
«Non posso indicare la mia perdita in morti e feriti, ma non può esser lieve. Per il momento c'è quiete; ma può darsi che al levar del giorno ricominci il conflitto.
«Io sono deliberato a restare, a qualunque costo, padrone di Milano. Se non si desiste dalla pugna, bombarderò la città».
Il povero maresciallo così scrivendo ignorava che alle bombe mancavano in gran parte i mortai, e che le poche che poterono essere lanciate, riuscendo inoffensive, furono oggetto di burla ai combattenti e di giocattolo ai fanciulli.
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