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Carlo Cattaneo, con ammirevole concisione, così riassume il concetto storico di quella memorabile giornata:
«Alcuni giovani costrinsero i municipali di Milano a prestare all'irritato popolo un'occasione di tumulto: Radetsky se ne giovò, per afferrar tosto l'ambìto governo militare; ma nel farlo, sebbene la rivoluzione non avesse armi, nè capitani, nè consiglio, nè tampoco notizia di sè, evocò dalle viscere del popolo una forza, che i suoi centomila armati non valsero più a prostrare».
(Archivio Triennale Vol. II, pag. 611).
Tutto vero, ma bisogna aggiungere che Radetsky non ebbe nel primo giorno un'idea chiara della sollevazione cominciata; ciò rese la sua azione in quel giorno e nel seguente incerta, slegata e fiacca quasi dovunque. Così diede tempo alla insurrezione di durare, di dilatarsi e di divenire irresistibile.
19 marzo.
Il vecchio maresciallo, sebbene avesse preveduto che col nuovo giorno la lotta sarebbe ricominciata, non aveva preso durante la notte alcuna deliberazione per dare all'insurrezione un colpo decisivo. Egli, che aveva sotto di sè in Castello diecimila uomini all'incirca, confidava, per vincere, nei cinque mila uomini sparpagliati in cinquanta diversi posti della città.
Lo storiografo di Radetsky così scrisse nelle Memorie d'un Veterano Austriaco:
«Durante la giornata del 19 continuò con non interrotto furore la pugna; la guarnigione si mantenne su tutti i punti padrona delle sue posizioni, ma era troppo debole per approfittare dei conseguiti vantaggi».
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