Nel suo libro: Une année de ma vie (Paris - Hachette, 1895) tutt'altro che benevolo pei milanesi, così parla dei cittadini che entrarono nel palazzo di Corte, appena abbandonato dal generale Rath (pag. 82):
L'ultimo dei nostri soldati era appena scomparso che uomini armati vi penetrarono, sfondarono le porte delle sale, si sparsero negli appartamenti, ruppero i mobili e quanto vi si trovava, ma rispettarono la camera da letto della povera contessa Woyua, grande-maîtresse dell'arciduchessa, la quale malata e a letto non aveva potuto partire colla Corte, nè fecero del male alle rifugiate nella cappella.
Questo fatto merita di essere notato. I nostri soldati, appostati alle finestre del palazzo e sul Duomo, avevano, nei due giorni di combattimento, steso a terra buon numero d'insorti. Ora, liberi di saziare la loro vendetta, ebbri del loro successo, costoro, appartenenti in gran parte al basso popolo, anche nei primi momenti d'esaltazione saccheggiarono, è vero, il palazzo, ma non toccarono nè le persone, nè le proprietà dei vinti. Questo tratto caratterizza l'italiano....
Tali virili e generosi propositi erano in tutta la popolazione. Un solo istante furono da pochi individui dimenticati, e fu quando alcuni poliziotti del circondario di San Simone, caduti nella loro fuga per guadagnare il bastione, furono trucidati ferocemente da combattenti esasperati, che credettero di così vendicare i cittadini uccisi due giorni prima a tradimento, ma anche allora vi furono di quelli - e il padre dello scrivente fu fra costoro - che fecero ogni sforzo per salvare quei disgraziati da quella giustizia sommaria.
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