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      Fuori di questi atti isolati, che possono considerarsi come un'eccezione, l'insurrezione milanese conservò fino all'ultimo uno spirito di umanità, che difficilmente si trova nella storia di altre insurrezioni.
      Interprete del sentimento generale, il Consiglio di Guerra in uno dei suoi primi manifesti diceva:
      Prodi Cittadini! Conserviamo pura la nostra vittoria; non discendiamo a vendicarci nel sangue dei miserabili satelliti, che il potere fuggitivo lasciò nelle nostre mani.
      Sentimenti ben diversi erano quelli che in quel medesimo giorno esprimeva l'arciduca Raineri, figlio del vicerè, che, scrivendo da Verona al fratello, si consolava immaginando che la legge marziale fosse già in opera in Milano, e "fucilati" tutti i cittadini fatti prigionieri.
      In quel medesimo giorno il Casati, cogli assessori, senza costituirsi in Governo provvisorio, come fece finalmente il quinto giorno, annunziava che trovandosi la città "per le terribili circostanze di fatto" "abbandonata dalle diverse autorità" la Congregazione Municipale assumeva "in via interinale" la direzione d'ogni potere, aggregandosi come collaboratori alcuni altri cittadini, fra i quali Borromeo, Giulini, Guerrieri.
      Era appena formato questo simulacro di Governo, quando gli si presentò un maggiore dei croati, chiedendo in nome di Radetsky qual fosse la mente dei magistrati.
      In sostanza veniva a sentire se chi era a capo dell'insurrezione era disposto a stipulare una tregua di qualche giorno. Il Casati propendeva per un armistizio di quindici giorni, affinchè il maresciallo potesse invocare da Vienna nuove concessioni; ma in realtà per dar tempo all'esercito piemontese di venire in soccorso di Milano; volle però sentire il parere del Consiglio di guerra.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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