E di fuori, dalle città vicine, dalle borgate e dai villaggi, uomini d'ogni classe rispondevano animosi all'appello di Milano.
«Sopra una fascia di terreno di circa 12 miglia (lasciò scritto un testimonio) l'insurrezione era oltre ogni credere spettacolosa e imponente. Le campane suonavano a stormo; il popolo guidato dai possidenti, dai fittaiuoli, da preti e dalla gioventù, correva sotto le mura della sua Milano per soccorrerla. Bande di contadini dovunque s'incontravano ed era uno stringersi l'un l'altro, gridando Viva Milano! Viva l'Italia!, che ci rapiva l'animo di meraviglia e di giubilo».
Molti brianzoli e lecchesi, dopo avere disarmato a Monza i soldati del presidio, erano stati condotti per la via ferrata fin quasi sotto le mura dal direttore della ferrovia, Borgazzi, il quale, valorosissimo, era anche riescito a penetrare in città. Col Consiglio di guerra egli s'era messo d'accordo per un assalto all'indomani di dentro e di fuori; ma l'indomani, mentre stava per salire sulle mura alla testa delle sue squadre, fu ucciso.
Radetsky, che vedeva la sua posizione farsi ogni ora più difficile, chiese quel giorno di nuovo, a mezzo dei consoli, un armistizio, questa volta di tre giorni, ma fu nuovamente respinto.
Attendeva ancora dai consoli la risposta, quando alle due del pomeriggio Radetsky, nel suo rapporto al gen. Ficquelmont, scriveva:
«La città di Milano è sconvolta dalle fondamenta: sarebbe difficile il farsene un'idea.
«Non centinaia, ma migliaia di barricate ingombrano le vie; e il partito spiega all'esecuzione delle sue misure una prudenza e un'audacia, che palesano che direttori militari prestati dall'estero stanno a capo dell'insurrezione.
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