Più volte il comandante di quella zona rinnovò con truppe fresche il combattimento, ma salvo un momento d'incertezza verso mezzogiorno, in cui il nemico aveva messo in batteria sette pezzi di cannone, le barricate mobili, benchè fulminate dall'artiglieria e dalla fucileria, venivano lentamente, ma continuamente spinte innanzi. L'ardore del combattimento spingeva i più animosi a staccarsi talvolta dalle barricate per combattere all'aperto, e parecchi pagarono colla vita quella loro noncuranza.
Alle due Manara scriveva al Comitato:
«Siamo all'ultima casa; la nostra bandiera vi sta sventolata. Avremmo già vinto, se un poderoso rinforzo di linea e di cannoni non fosse in questo punto arrivato.... scarseggiano molto le munizioni da fucile, mandatecene: vinceremo o moriremo.»
Era già sera, quando, dopo un vivo fuoco da trenta barricate mobili, facendosi da una schiera dei più valorosi, impeto sugli austriaci, diradati da gravissime perdite, li misero in fuga.
Aperta la porta, ch'era semichiusa, Manara e pochi altri si avanzarono fino al Cimitero. Non trovando nessuno, fecero ritorno sui loro passi.
Padroni della porta, per la cui presa tutto il giorno s'era combattuto, ed era costata tanto valore e preziose vite, nessuno crederà che, appiccatovi da Manara il fuoco, non vi fu lasciata alcuna scorta per sua difesa.
Lieti della vittoria - che cessava di essere tale dal momento che si rinunciava a conservare l'acquisto fatto - Manara e tutti i suoi se ne tornarono in città.
Anche la Porta Comasina era stata presa in quella medesima sera coll'aiuto dei lecchesi e brianzuoli, pur essa perduta poco dopo.
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