A Venezia, dopo che il popolo fu sceso in piazza, parve che tutto fosse diretto da una mente superiore, sopra un disegno prestabilito, e la insurrezione fu là anche più meravigliosa, perchè quasi senza spargimento di sangue ottenne più decisiva vittoria, sicchè terminò in una completa rivoluzione.
La mattina del 17 marzo, non appena si sparsero in Venezia le notizie dei moti di Vienna, e delle imperiali promesse che n'erano state la conseguenza, una grande effervescenza s'impadronì del popolo, che recatosi in folla sotto le finestre del governatore, chiese a grandi grida la liberazione di Manin e di Tommaseo, i quali da più di due mesi erano imprigionati, per essere stati con liberi accenti eccitatori del sentimento patriottico.
Il governatore, conte Palffy, voleva guadagnar tempo, finchè gli fossero giunte istruzioni precise da Vienna, ma incalzato dalla marea popolare, che sempre più ingrossava, diede ordine per la scarcerazione.
Manin e Tommaseo furono a spalle d'uomini portati in Piazza S>. Marco in mezzo a frenetiche acclamazioni.
Tutti avevano il cappello o l'abito già adornato della coccarda tricolore, e sui tre stendardi, che sorgono rimpetto alla basilica di S. Marco, vennero innalzate tre bandiere italiane e tagliate le corde per non lasciarle più togliere.
L'entusiasmo del popolo era tale, che molti avrebbero voluto cominciar subito la lotta contro il presidio austriaco; Manin se ne accorse e, arringando il popolo, cercò di frenarli:
«Non vogliate dimenticare (egli disse) che non vi può essere libertà vera e durevole dove non è ordine, e che dell'ordine voi dovete farvi gelosi custodi, se volete farvi degni di libertà....
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