Dopo la mezzanotte di quel medesimo giorno, 18, arrivò inaspettato un piroscafo da Trieste, inviato dai patriotti di quella città, per recare a Venezia l'annuncio ufficiale della concessa Costituzione.
La moltitudine si recò allora in folla sotto le finestre del governatore, il quale, venuto al balcone, lesse il dispaccio ufficiale, e aggiunse parole di simpatia a Venezia, di cui si gloriava di chiamarsi cittadino. L'entusiasmo per quella notizia fu grande nella città, e molte piazze e case cospicue, benchè fosse notte avanzata, furono in segno di festa illuminate.
I tre giorni seguenti furono occupati nell'organizzazione della Guardia civica, e nel prendere pacificamente possesso per essa dei posti più importanti.
Per confessione della stessa Gazzetta Ufficiale, che usciva in quei giorni, le Guardie cittadine, il cui numero aumentava d'ora in ora, facevano il loro servizio «con disciplina di veterani.»
Sentendosi impotente oramai a limitarne il numero, il Governo esortò i suoi impiegati ad arruolarsi nella Guardia civica, alla quale fece avere dall'Arsenale marittimo 200 sciabole, e da quello di terra 400 fucili.
Intanto l'idea di approfittare delle circostanze straordinarie del momento per far rivivere l'antica Repubblica cominciava a entrare in molti cervelli, e, per venire ad un'energica risoluzione, parecchi cittadini si rivolsero al Municipio, altri a Manin.
Questi fin dai primi momenti della sommossa aveva concepito il suo disegno: impadronirsi del grande Arsenale, sapendo che la massima parte degli operai che vi lavoravano, pieni di amor patrio, fremevano del desiderio di liberarsi del comando e dell'ufficialità austriaca.
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