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La mattina del 22, Manin, in compagnia del figlio Giorgio e con un gruppo di Guardie civiche, si incamminò verso quella volta.
Gli operai dell'Arsenale avevano ucciso poche ore prima il colonnello Marinovich, uomo odiatissimo pel suo eccessivo rigore, il quale già salvato il giorno prima dalle guardie civiche del sestiere, volle in quel mattino recarsi di nuovo nell'Arsenale, quasi a sfida degli operai, esasperati contro di lui, pei suoi brutali trattamenti.
Prima che vi arrivasse Manin coi suoi, erano già penetrate nell'Arsenale due grosse pattuglie di guardie civiche, condotte una da Giuseppe Giuriati, capo di stato maggiore della Civica, l'altra da Olivieri, capo battaglione. Vi arrivava contemporaneamente l'ammiraglio Martini, il quale protestando perchè da parte della marina non era stato preso nessun provvedimento contro la città, fu dalla guardia civica dichiarato prigioniero. Il Giuriati se ne fece consegnare la spada.
Il Manin, presi con se due capi delle guardia civica e un ufficiale del genio, fece un giro di riconoscimento nell'arsenale.
Finito il suo giro, Manin fece suonare la campana che chiama gli operai, e tutti risposero al suo appello.
Aperta la sala d'armi, si presero i fucili per armare gli operai dell'Arsenale e le guardie civiche, armate fino allora quasi tutte di sola sciabola.
Manin arringò allora civici ed arsenalotti, esortandoli a mantenersi ordinati e dignitosi, per mostrarsi degni della libertà che si stava conquistando.
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