Dopo due ore un battaglione civico, più forte di numero, comandato dal maggiore Bignami, lo seguiva.
Le due colonne pernottavano a Castelfranco, sul confine modenese.
In Roma, date alle fiamme dal popolo le insegne dell'Austria, si adunavano volontari, benedetti da sacerdoti, si aprivano sottoscrizioni per armarli; il governo, sotto la pressione dell'opinione pubblica, decretava un «corpo di spedizione» e ne affidava il comando al piemontese generale Durando.
Questo corpo, forte di 12.000 uomini, era qualche giorno dopo a Ferrara.
A Napoli, arso lo stemma dell'ambasciata austriaca, e costretto il re a cedere al generale commovimento, venivano aperte il 26 le liste dei volontari.
Dacchè l'Italia esisteva, non s'era mai veduto tanto entusiasmo in tutte le popolazioni, tanto fremito d'armi e d'armati, e tanto accordo fra la gente colta e la gioventù d'ogni ceto in un unico pensiero: la cacciata dello straniero.
Perchè a tanta fortuna d'Italia in quei giorni non corrisposero gli eventi posteriori? Come avvenne che fin da quei giorni l'esercito di Radetzky decimato, disorganizzato, avvilito, in mezzo a popolazioni infiammate d'amor patrio, marciando lentissimamente, potè portarsi in salvo entro il quadrilatero, e là riordinarsi, riprendere lena e coraggio, ricevere rinforzi, per passare a momento opportuno all'offensiva e vincere?
Della mutata fortuna i repubblicani addossarono tutta la responsabilità a Carlo Alberto e ai suoi partigiani. Le colpe di costoro furono infatti enormi, ammesse anche dagli storiografi monarchici, ma appunto per ciò non c'era alcun bisogno di addossar loro anche le colpe degli altri.
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