Se fin dai principio i municipali di Milano, erettisi a governo, diedero a divedere che loro principale scopo era quello di smorzare l'entusiasmo del popolo, per lasciare a Carlo Alberto tutto il merito delle vittorie, che da lui attendevano, toccava ai repubblicani di adoperarsi a tenerlo vivo, per trarne le forze necessarie al rapido e felice esito della lotta. Se Carlo Alberto colle sue inqualificabili lentezze mostrava di non saper approfittare del disordine e dello scoramento, in cui doveva trovarsi l'esercito di Radetzky, per tagliargli la via alle fortezze, spettava a chiunque avesse compreso che in una guerra di popolo, perdute nei primi giorni le occasioni propizie di vittoria non tornano pił, di raccogliere il maggior numero possibile d'uomini, e portarli a contrastare al fuggente nemico il passaggio dei fiumi - minandone i ponti - che dall'Adda al Mincio tagliano la pianura lombarda.
Nessuno ebbe animo da tanto.
Mantova era presidiata da tre battaglioni italiani, da uno squadrone di dragoni e da pochi artiglieri. Una parte dei cittadini era armata, ed ebbe in custodia pił giorni alcune porte della cittą. Pochi uomini risoluti, che avessero voluto profittarne, divenivano padroni della cittą, e non vi furono; potevano entrarvi i battaglioni di Modena e di Bologna, ch'erano poco lungi, ma non si mossero.
Le due colonne di Zambeccari e Bignami, del corpo di spedizione bolognese, ch'erano partite la sera del 20 da Bologna, dopo inutili marcie, vi fecero ritorno disordinate e stanche, per esservi riordinate.
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