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      Il gen. Durando, che il 30 marzo era già a Ferrara, pensò di far ritorno a Bologna, dove la sua divisione, forte di 12 mila uomini, rimase parecchi giorni come paralizzata. Lo stesso accadeva dei 7.000 toscani, condotti dal gen. Ferrari, arrivati in quei giorni in riva al Po.
      Migliaia di alpigiani armati - il Pisacane li fa ascendere a 20.000 - eransi avviati verso Vicenza per dar mano alla cacciata degli austriaci; quel Comitato li rimandò alle native montagne.
      Inutile aggiungere che dei 20.000 soldati disertati dall'Austria nessuno si diè pensiero, sicchè tutti furono ben lieti di tornare in seno alle loro famiglie.
      Allora si vide quanto poco giovi l'entusiasmo delle masse, quando manchino i capi che sappiano ordinarle e guidarle. E si vide del pari che senza una buona preparazione il valore dei combattenti non basta per vincere.
      Dove la preparazione non avrebbe dovuto mancare era in Piemonte, rappresentato da scrittori come la Prussia d'Italia, e il cui re era dai suoi partigiani proclamato quale primo e massimo campione della guerra d'indipendenza, predicata come il porro unum della questione italiana. Carlo Alberto medesimo coi suoi discorsi privati, e facendo buon viso ad alcune dimostrazioni patriottiche, aveva favorito tale propaganda. Egli perciò fin dal gennaio, dopo gli atti d'ostilità dei lombardi contro il governo austriaco, doveva sapere che la guerra, in seguito ad una sollevazione, poteva scoppiare da un giorno all'altro.
      Già s'è veduto che a Firenze la partecipazione alla guerra d'indipendenza fu proclamata dal granduca il 21 marzo.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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