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      In una nota scritta il 15 marzo, quasi per farsi perdonare d'aver concesso ai suoi Stati una Costituzione, il gabinetto sardo scriveva al Cancelliere austriaco:
      Il re desidera che S. M. l'imperatore d'Austria riceva l'assicurazione che l'osservanza dei trattati formerà sempre la base della sua politica...; e terminava esprimendo il desiderio del re di voler raffermare ancor più i legami d'amicizia che hanno unito fino al presente i due Stati.
      Queste dichiarazioni male si accordavano colla parte di campione della italica indipendenza, che i partigiani di Carlo Alberto, egli evidentemente consenziente, gli avevano attribuito.
      Ora, messo nel bivio di rompere fede a quei trattati, il cui rispetto cinque o sei giorni prima aveva dichiarato di prendere a base della sua politica, o di mancare ai suoi doveri verso l'Italia, non sapeva decidersi.
      Fu una grande sventura.
      Certo è che se due o tre reggimenti piemontesi fossero arrivati prima del 22 - come ne avevano tutto il tempo - alle porte di Milano, per l'effetto immenso che la loro entrata in città avrebbe prodotto nella popolazione, la lotta sarebbe finita con una completa capitolazione di Radetsky, come senza lotta capitolò a Venezia il generale Zichy. Una sola divisione che il 22 si fosse messa sulle traccie del fuggente esercito austriaco, l'avrebbe costretto tutto quanto a deporre le armi.
      La possibilità di raggiungere il nemico nella sua ritirata, e, piombandogli addosso con truppe fresche, accese dall'entusiasmo che infiammava allora tutto il paese e sconfiggerlo, non era perduta neppure nei dì seguenti, costretto com'era stato Radetzky di dare alle sue truppe, dopo tanti giorni di fatiche e di privazioni, un po' di riposo.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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