Era mestieri non lasciarla intiepidire, bensì eccitarla al massimo grado con lo spettro del pericolo, non del tutto scomparso, d'un ritorno degli austriaci, che intanto s'andavano radunando nel quadrilatero formidabile.
Dall'errore politico, facilmente rimediabile, derivò l'errore strategico, che fu ben più grande, e portò seco conseguenze irreparabili.
La strategia pura (osserva giustamente Demetrio) è scienza tutta di previsione, e domina come tale tutta la politica d'uno Stato, che ha in prospettiva una guerra di rivendicazione o di difesa, da cui possono dipendere tutte le sue sorti future.
Nessun ministro o generale piemontese, (scrive il nostro autore), per sventura d'Italia, diede segno di conoscerne nemmeno lontanamente i principî; onde appariranno irresponsabili se non seppero applicarli.
Pare che Carlo Alberto, il quale aveva tanto indugiato ad assalire l'esercito di Radetzky nel momento opportuno, quando, debole come questo era e moralmente depresso, la vittoria non poteva mancare, avesse poi fiducia di vincerlo, una volta già ingrossato, colle sole sue forze. Ma queste, che avevano passato il Ticino, non arrivavano a 30.000, con 48 bocche da cannone.
Al qual proposito il già generale dep. Marazzi nel libro, già menzionato, L'Esercito nei tempi nuovi, scrive:
L'esercito del Piemonte doveva essere in pace di 53.000 uomini, e sui registri matricolari ascendeva a 169.000.
Gli arruolamenti erano principiati ai primi di gennaio; al 18 marzo scoppiava l'insurrezione di Milano, ed il ministro della guerra chiedeva ancora 15 giorni per completarli!
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