Fu il governo provvisorio, il quale fermo nell'idea, anche dopo le inesplicabili lentezze e i gravissimi errori delle prime operazioni di guerra, che la vittoria fosse immancabile, non volle dare ascolto a quelle esortazioni, respinse pur anco gli aiuti che venivano offerti da corpi svizzeri; non volle neppur saperne dell'aiuto francese, acciocchè nessuno potesse sottrarre una parte qualsiasi del prestigio della vittoria all'esercito piemontese, e al re che lo comandava, pel quale teneva in serbo, come premio, la corona di ferro dei re longobardi.
Furono i ministri piemontesi e il re Carlo Alberto medesimo, i quali, troppo fiduciosi nelle proprie forze, anche quando dovevano apparire assai scarse a chiunque mediocremente edotto di cose di guerra, facendo cattivo viso all'elemento dei volontari, respingendo con superbe ripulse (come si fece con Cialdini) i servigi che venivano offerti, o accogliendoli tardi e di mal animo (come avvenne con Garibaldi e colla sua legione), mantennero nell'opinione pubblica la fallace illusione che le sole forze piemontesi bastassero alla grande impresa.
Pur troppo in guerra le illusioni si scontano a prezzo di sangue, di lagrime e di vergogna.
Il Mincio, che è fiume nè largo nè profondo, non offriva a Radetzky una buona linea di difesa. Non avendo nel suo corso sotto Peschiera nessun punto fortificato, ed essendo linea troppo estesa per disseminarvi le già scarse sue forze, il vecchio Maresciallo diede ordine ai comandanti delle diverse posizioni sul Mincio, che, se venivano assaliti con viva forza dal nemico, non dovessero difendersi che leggermente, e ritirarsi subito su Verona.
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