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      Radetzky stesso, concentrandosi con tutte le sue forze disponibili nel campo trincerato di Verona, l'aveva suggerito.
      Prendere posizione con tutto l'esercito entro il quadrilatero, manovrando in modo da costringere il nemico a dare o ricever battaglia, doveva essere il principale obbiettivo.
      Se, debole com'era, Radetzky, non voleva dare nè accettar battaglia, chiuderlo in un cerchio di ferro, isolarlo, tagliandogli le comunicazioni colle altre tre fortezze del quadrilatero e col resto della monarchia, e impedire a qualunque costo che il suo corpo di riserva, che si stava formando al di là dell'Isonzo, potesse giungere a destinazione, correndogli addosso con forze superiori, sicchè a Radetzky, se non voleva far la fine del sorcio in trappola, più non rimanesse altra risorsa che di tentare la sorte delle armi, - questo doveva essere il piano di guerra, in un momento ancora tanto propizio per l'indipendenza d'Italia.
      Si sa che in guerra l'unità del comando è condizione indispensabile di vittoria, e Carlo Alberto, già designato dai suoi fautori e dai governi provvisori condottiero della guerra d'indipendenza, doveva, lasciando impregiudicata la questione politica, assumere il supremo comando di tutte le forze italiane in campo.
      Ma tale disegno, per la cui esecuzione, la stupenda campagna di Bonaparte del 1796, sul medesimo terreno, offriva tanti mirabili insegnamenti, non venne in mente nè al re, nè ad alcuno dei generali che lo avvicinavano. Il peggio è che non ne avevano alcuno.
      Facevano la guerra, senza sapere come condurla, ignari delle vie da seguire e del lato debole dell'avversario, ponendo tutte le loro speranze nella divina provvidenza o nel caso.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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