Per ciņ appunto, supremo interesse dell'esercito italiano doveva essere quello di opporsi a qualunque costo a tale congiungimento.
Che a ciņ potessero bastare le milizie venete, comandate da Zucchi e da Alberto Lamarmora, le truppe romane condotte dai generali Durando e Ferrari, e, qualora fosse entrato in azione, il corpo napoletano comandato dal generale Pepe, si poteva sperarlo in principio.
Ma dopo i successi ottenuti dal generale Nugent sull'Isonzo e sulla Piave, dovuti specialmente alla lentezza di Durando nel muoversi da Ferrara; dopo sovratutto la giornata di Primolano (9 maggio) - in cui i volontari romani di Ferrari, che avevano combattuto valorosamente per 5 ore contro le truppe del generale Culoz, non vedendosi sostenuti dal generale Durando, che trovavasi ad un'ora di distanza, si ritirarono in disordine, gridando al tradimento, verso Treviso - quella speranza non era pił fondata.
Il solo dubbio avrebbe dovuto bastare per decidere Carlo Alberto a rompere gli indugi. Nugent, iniziando tale operazione col passaggio, dell'Adige, al di sotto di Legnago.
«Il passaggio dell'esercito del Veneto (son parole di Pisacane) avrebbe tolto immediatamente tutti gli ostacoli alla sua riunione con tutti quei corpi che ivi operavano senza insieme e senz'accordo, nč la disfatta di Nugent poteva essere dubbia. Due sole operazioni erano possibili al nemico: riunire tutte le forze ed assalire l'esercito piemontese per impedire la sua marcia nel Veneto, o marciare sopra Milano. Nel primo caso si otteneva la desiderata battaglia: nel secondo gli austriaci sarebbero stati compiutamente separati dalle loro piazze forti dell'esercito piemontese, che, dopo la vittoria riportata su Nugent, si sarebbe rovesciato su Radetzky».
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